L’importanza di un nucleo fuso3 min read

Credit:ArXiv.org

Le stelle simili al Sole, per quanto stabili e costanti possano essere, hanno la peculiarità di attraversare ciclicamente fasi di turbolenza superficiale che sfociano in spettacolari eruzioni di materia dalla fotosfera e dalla corona. Sono comunque dispersioni di materia di quantità estremamente piccola in proporzione alla notevole massa della stella e assolutamente ininfluenti per la stella, ma non per i pianeti che la circondano.
Agli albori del nostro sistema solare il Sole  appena acceso attraversò un momento di particolare  attività chiamata T Tauri, dal nome della stella che per prima è stata studiata in questa fase. Questa attività spogliò della polvere e del gas che lo circondava e con  essi spogliò anche i pianeti più interni delle loro primitive atmosfere, compresa la Terra che in quei momenti si stava formando.
Ora il Sole non è più così esuberante, ormai è quasi un signore di mezza età, ma continua con i suoi ruttini al plasma un po’ come fanno tutte le altre stelle sue simili.

Il nucleo della Terra iniziò a formarsi già nelle primissime fasi della nascita del nostro pianeta, che si formò in una zona di spazio in cui la temperatura della nebulosa protoplanetaria era molto alta. In questa fase avvenne una prima differenzazione chimica del nucleo.
Successivamente, quando si formò la Luna (la Terra era più piccola e probabilmente non ancora del tutto differenziata nelle sue parti interne), il Nostro Pianeta si scontrò con un corpo di dimensioni analoghe, grande circa quanto Marte oggi. L’impatto fuse completamente di nuovo la giovane Terra permettendo la genesi del suo enorme nucleo ferroso e proiettando il materiale più leggero in orbita dove questo si sarebbe ricondensato formando la Luna nel giro di appena un centinaio di anni.

Alla Terra questa attività stellare non dà quasi più alcun fastidio, grazie al suo magnifico nucleo di ferro fluido che genera un immenso campo magnetico planetario in grado di proteggerla dalle radiazioni del vento solare e da qualche bolla di plasma che ogni tanto viene emessa dal Sole ormai da quasi 5 miliardi di anni. Se non fosse per il suo campo magnetico la Terra non sarebbe un buon posto per viverci, la sua superficie sarebbe costantemente sterilizzata dal vento solare e la sua atmosfera sarebbe molto più sottile. Forse una vita batterica potrebbe essere ancora possibile, magari sotto la superficie al riparo dalla radiazione, ma per fortuna, per noi, questa è solo speculazione.

Con la scoperta via via dell’esistenza di altri pianeti extrasolari rocciosi c’è chi si è chiesto 1 se questi potessero sostenere un campo magnetico analogo a quello terrestre in grado di proteggere la vita che possa essersi generata sulla superficie del pianeta.
La sorprendente risposta è che perchè possa esistere un nucleo di ferro liquido necessario a produrre le enormi correnti elettriche per generare un campo magnetico analogo a quello terrestre esiste un limite ben definito: all’incirca attorno alle due masse terrestri.
Oltre questo limite le pressioni e le temperature del nucleo non sembrerebbero consentire l’esistenza di un nucleo di ferro allo stato liquido, anche se è importante sottolineare che le impurità nella composizione chimica, le dimensioni, il tasso di decadimento del calore, etc… possono alterare le condizioni fisiche necessarie per garantire la necessaria fluidità del nucleo capace di generare un campo magnetico.
Quindi scopriamo che che ci possono essere dei seri limiti fisici per i pianeti adatti ad ospitare forme di vita sulla superficie come il nostro: non solo è necessario che il pianeta orbiti all’interno di una zona Goldilocks attorno alla stella che permetta l’esistenza dell’acqua allo stato liquido, ma che anche le dimensioni di questo siano racchiuse in un arco abbastanza ben definito per ospitare un nucleo di ferro fuso capace di sprigionare un campo magnetico protettivo importante.

 

ResearchBlogging.org

G. Morard, J. Bouchet, D. Valencia, S. Mazevet, & F. Guyot (2010). The melting curve of iron at extreme pressures: implications for
planetary cores High Energy Dens.Phys.7:141-144,2011 arXiv: 1010.5133v1

Note:

  1. The melting curve of iron at extreme pressures: implications for planetary cores ,G. Morard, J. Bouchet, D. Valencia, S. Mazevet, F. Guyot.

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